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Storia di una quercia  raccontata da lei medesima (come una quercia arrivò a monte Ciocci e vi mise radici)

 

Da molto tempo il vento che sbatte sulle mie foglie non porta buone notizie; gira voce che il nostro vivaio sarà chiuso per mancanza di fondi necessari per la nostra cura .

Questa mattina sono stato svegliata da un via vai di camion che rumoreggiavano lasciando nell'aria una nuvoletta nera. D'un tratto un uomo mi afferrò e mi caricò delicatamente su un rimorchio dove c'erano anche degli amici e ci coprì con un telo verde .

Dopo qualche minuto capii che stavamo per intraprendere un viaggio che ci avrebbe portato in un posto migliore .

Il giorno seguente arrivammo a destinazione: ci misero subito dell'acqua fresca che ci rianimò dall’arsura e lo strapazzo di  quel  lunghissimo viaggio .

Il secondo giorno dall'arrivo mi ritrovai accerchiata da ragazzi che uno ad uno mi si avvicinavano e mi leggevano delle tristi storie riguardanti i bambini uccisi dalla mafia .Accanto a me c'era una buca; non ebbi neanche il tempo di realizzarne l'utilizzo che già mi ci avevano appoggiato dentro e ricoperto di un terriccio morbidissimo che mi avvolse come una coperta . Da quel momento capii che questo sarebbe stato il luogo dove avrei trascorso il resto della mia vita .Ormai sono più di trent'anni che mi trovo in questo paradiso e ancora non mi sono stancata di ammirare il panorama che mi circonda. E di ricordare i bambini di cui i ragazzi raccontavano la storia triste.

 

 G. Scarnati 2 B Agrario  (scritto lo scorso anno)

 

Per sette anni…..  

Erano sette anni, sette minuti o sette secondi? Un momento, luminoso come la luce del sole e poi buio come l’abisso. Un momento limpido e profondo. La misura del tempo non aveva più senso, la ragione, la fisica e la logica erano solo un miraggio lontano. Eravamo io e lui, una sola cosa, un’anima che sorvolava… il mondo? No… ma era come se lo fosse. Un salto, delle barriere e dei pilieri, nulla di più, ma il nulla a volte è tutto, per me quel nulla era tutto. Ancora io e lui, soli ma insieme, uniti per quei sette… non so bene cosa fossero, è durato un attimo infinito. La tensione cominciava a farsi sentire, le mani mi tremavano e faceva caldo, il sole cuoceva la terra.

Lui si avvicinava senza esitazioni, con passo deciso e gioioso, verso quello che per noi era il coronamento di una vita di sudore e sacrifici. Ancora una falcata, tenevo le redini come fossero il filo che ci legava alla vita. Tutti gli occhi erano puntati su di noi, tutto il mondo ci guardava.

Per sette anni non abbiamo fatto altro, ma l’emozione non osava mutare. Eravamo sempre io, lui e l’ostacolo, sotto quei cinque cerchi che come angeli vegliavano su di noi.Per sette minuti i nostri cuori batterono all’unisono, attraverso la sella il suo respiro scandiva i secondi che passavano.

Per sette secondi ho pensato davvero che ce l’avremmo fatta e per altri sette prima dell’ultima falcata nella mia mente c’era il vuoto, nero come la pece. Riaprii gli occhi e vidi il possente collo basculante del mio cavallo che galoppava divertito sulla morbida sabbia dorata ed io con un sorriso dipinto in volto mi godevo il coro di applausi del mondo intero.Per sette anni non ho sognato altro. Scesa di sella, salii sul gradino più alto del podio con alle spalle quei cinque cerchi che ho amato e odiato ma che ora fanno parte di me, come un vecchio amico orgoglioso di quello che sono diventata.

Dopo sette anni.

 

Ginevra Alberta   3 B Agrario 

Per sette anni…….

Era estate e mi stavo preparando per andare a caccia. Avevo tutto il necessario, dal fucile al coltello, ma mancava una cosa importante: un cane.

Per sette anni mi sono preparato, e ora che sono diventato più grande e ho il consenso dei miei genitori sono libero di fare ciò che voglio.

Per andare a caccia mi serviva un cane, perfetto per cacciare e ottimo amico. Andai al canile, lo vidi, era lui, era proprio lui e me lo portai a casa.

Era un dalmata, un cane di taglia media e di linea slanciata, con pelo corto, bianco a macchie nere, e orecchie scure pendenti.

Dopo pochi mesi di addestramento, il cane era pronto per cacciare. Presi il permesso di caccia e mi avventurai nel bosco.

Il cane vide qualcosa muoversi ed io mi girai avvistando  un grosso cinghiale; presi la mira e lo colpii in testa L'animale si accasciò  a terra.

Caricai il cinghiale in macchina e lo portai a casa. Come primo giorno di caccia niente male. Io e il mio cane stavamo diventando i primi cacciatori del mondo con più uccisioni di capi di bestiame per stagione. Il cane divenne una celebrità in tutto il mondo per il suo olfatto perfetto.

Io e  il mio cane diventammo grandi amici. Il mio cane era piuttosto avanti con l'età: pur sapendo che gli mancavano pochi anni di vita lo avrei comunque sostenuto fino alla fine dei suoi giorni. Diventava sempre più difficile trascorrere le giornate in continua escursione di caccia, quindi  decisi di portare il cane per l'ultima volta a caccia. La giornata non era delle solite, il bosco era molto più cupo e spaventoso.

Per arricchire  la giornata decisi di accamparmi per il resto della notte nel bosco per poter ricordare gli ultimi momenti  trascorsi con il mio vecchio amico. Cercai una casa per qualche ora senza alcun risultato. Passato il tramonto, in lontananza vidi una piccola struttura di legno che mi sarebbe bastata per passare la notte. Avvicinandomi, notai che all'interno era illuminato e la porta socchiusa, ma non c'era anima viva. Entrai senza alcuna preoccupazione: era un posto molto accogliente e con un tavolo apparecchiato per due persone con molte delizie. Decisi di accamparmi per il resto della notte, assaggiando ciò che stava sul tavolo, e,  dopo essermi saziato,  mi riposai per il resto della notte.

Qualcosa non mi fece addormentare: attaccati  alla parete vi erano diversi quadri con delle persone che mi fissavano. Mi sentivo osservato ma ero stanco:  mi girai verso il muro e mi addormentai. La mattina seguente mi svegliai e mi girai verso il centro della camera accorgendomi che il cane non c'era più. Mi misi a cercarlo ma non lo trovai; subito dopo mi accorsi che al posto dei quadri vi erano delle finestre.

Iniziai a dubitare di me stesso e continuai a cercare il mio vecchio amico chiedendomi dove fosse finito. Ancora oggi, dopo instancabili ricerche, sto aspettando che torni da me. Solo adesso mi sto rendendo conto che lì dove io pensavo   vi fossero dei quadri c'erano delle finestre con delle persone che mi fissavano, probabilmente dei cacciatori. Quando mi sono addormentato……  senza farsi sentire…….   Con un trucco………   Chissà dove hanno portato il  mio cane…..

 

Lorenzo De Martino 3 B Agrario  ( scritto lo scorso anno scolastico)

PASSIONI

lA KIKBOXING

di Rino Orlando III B A.s.2016/2017

La kickboxing  è uno sport da combattimento di origine giapponese, diffusosi poi in USA, che combina le tecniche di calcio tipiche delle arti marziali orientali ai colpi di pugno propri del pugilato.

Ho iniziato ha praticare la kick all'età di 14 anni insieme a due miei amici. Non a tutti piace come sport, io penso che sia uno dei più belli perché è uno sport che ti aiuta molto. Partendo dall'aspetto mentale, possiamo pensare al combattimento come ad un problema da risolvere, per cui bisogna trovare soluzioni in brevissimo tempo in una situazione di stress, mostrando autocontrollo e lucidità. Quindi migliorando nel combattimento si può migliorare l’approccio ai problemi della vita. Ovviamente sempre nel rispetto di chi ci troviamo di fronte, che sia nello sport, nel lavoro e nella realtà. Per quanto riguarda l’aspetto fisico questo sport permette di modellare e scolpire il proprio corpo. La kickboxing è uno sport che impegna molto; infatti la parola significa dare pugni e calci. È uno sport che ha come scopo la difesa, ma alcuni lo praticano specificamente per sfogare la propria aggressività sul sacco e consumare la propria energia in allenamento; inoltre è anche utile per potenziare la forma fisica. Ho iniziato questo sport perché è un’attività che mi dà adrenalina, ma contemporaneamente mi rilassa e mi scarica. Questo è uno sport di testa. Il suo fascino sta lì, nel saper ragionare curando le tecniche e saper aumentare la resistenza curando la preparazione fisica.

Libri e storie

 Il rumore dei tuoi passi  

recensione di Chiara Mangiapane III B

A.s.2016/2017

Il rumore dei tuoi passi di Valentina D'Urbano è un libro molto intenso ed emozionante che consiglierei di leggere a tutti. E'anche un libro bellissimo, di quelli che leggi tutto d'un fiato, di quelli che ti divorano dentro. I protagosti sono Beatrice e Alfredo e sono per tutti «i gemelli». I due però non hanno in comune il sangue, ma qualcosa di più profondo. A legarli è un amicizia nata quando erano bambini e sopravvissuta a tutto ciò che di più oscuro la vita può regalare. Un’amicizia che cresce con loro fino a diventare un amore selvaggio, graffiante come vetro spezzato, delicato e luminoso come un girasole. Un amore nato nonostante tutto e tutti, nonostante loro stessi per primi.  Beatrice e Alfredo sono lo specchio del degrado in cui sono stati cresciuti, tra le mura di un quartiere pericoloso e dimenticato da Dio, in cui la fame e la malavita fanno da padroni a questa storia

A volte mi chiedono perché faccio teatro... Io ho sempre risposto perché mi piace. Ma non ho mai risposto come volevo


Perché faccio teatro?
Perché odio le maschere che mi sono creata. 
È’ fantastico entrare in un personaggio e dimenticare chi sei togliendoti tutte le maschere che ti sei creata e inventarne altre cento che non c'entrano niente con il tuo modo di fare.
Magari sei la persona che tutti definiscono divertente perché in ogni discorso metti una battuta, magari sei la persona che tutti definiscono timida, magari quella scontrosa, quella agitata, quella un po’ bipolare, quella distratta... beh... Sono solo maschere.
Sul palco puoi essere chi vuoi come vuoi, fare finta di essere un personaggio che vive meglio o peggio di te, più brutto o più bello di te, più giovane o più vecchio di te.
Non ti devi preoccupare di essere giudicato, quando stai sul palco sei libero. Completamente. Non sei più tu. 
Io faccio teatro anche per altri motivi... 
A teatro ho imparato una cosa che mi ha detto il mio insegnante:

Solo quello che non puoi è impossibile
Questo vale per ogni esercizio, ogni volta che facciamo un esercizio partiamo dal presupposto che sia impossibile. Il primo giorno l'insegnante ha messo una sedia sul palco, una ragazza ci si doveva mettere in piedi, e girata all'indietro si doveva buttare... Noi ovviamente la dovevamo prendere da dietro e poi dovevamo attraversare tutta la platea con lei in braccio camminando sulle sedie senza toccare niente altro con tutto il resto del corpo. Sembra una cavolata detta così... Ci abbiamo messo un’ora e mezza ad attraversare tutta la platea in silenzio camminando sulle sedie. Ci siamo arresi 5 volte: la prima volta la ragazza aveva paura che non la prendessimo e allora l'insegnante le ha detto: abbi fiducia nei tuoi compagni e loro l’avranno in te.

La seconda e la terza volta ci fermava la paura di salire sulla sedia senza toccare niente con il corpo... Allora l'insegnante ci ho detto: niente è impossibile, dovete lavorare insieme, non dovete pensare solo a come salire sulla sedia e gli altri se la cavano da soli, siete un gruppo.

La quarta volta il difficile era girarsi per scendere. Allora l'insegnante ci ha detto semplicemente: se vi volete arrendere arrendetevi, ma così non imparerete niente.

Allora abbiamo capito che dovevamo collaborare.
La quinta volta non riuscivamo a scendere dalle sedie. Allora l'insegnante ci ha detto:
Ascoltatevi.

E’ stata una lezione che mi porterò dietro per tutta la vita. Ogni lezione ha un senso. Ogni piccola cosa che facciamo ha un senso. 
Questa è la mia risposta alla domanda perché faccio teatro?

Io e il teatro  

di Irene Russo I A
A.s. 2016/2017

Immagini e parole

Il teramano speranzoso

Il buio crudele

sgominato dal bagliore

di un interruttore

Il gelo pungente

squagliato dal calore

di un camino

Il barcollare nauseante

cessato dall'alto

di uno sguardo

E le acque torrenziali

assimilate dal terreno

e dalle strade.

Vicino a te

Il dolore sparisce

come la polvere

 

La tristezza si dissolve

come un miraggio

il male guarisce

come la malattia.

 

L'arancio prima di una mattina

Cammino per

un pianoforte impolverato e 

premuta la settima nota sollevo

lo sguardo e vedo te

pitturare il cielo.

Possibilità

Anni prima non mi riconoscevo

pur avendo dovuto

Tra bene e male

sono disorientato

In me scorgo

la possibilità di ritorno

scrutata. 

                                                     

testi Jacopo Rossi Volponi

fotografie Lorenzo Carianni

disegni Serenella Anedda

(A.S. 2016/2017)

Il mio pensiero

Ogni pensiero 

che passa per la mia testa

appare come un bambino

che corre libero nella foresta.

Cerco di non pensare ai brutti pensieri

per non intraprendere brutti sentieri.

La vita non va mai disprezzata,

ogni azione che fai va sempre ricordata.

Ogni persona tiene dentro sé una coscienza

che fa fare delle scelte che lo porteranno

a perdere la pazienza.

(Flavia Montauti)

Arianna

Arianna mi trasmette.

Mi permette di aprire gli occhi.

Lei crede in me.

Lei mi fa essere tranquillo.

Lei mi fa essere felice.

Lei mi fa stare di buon umore.

I suoi occhi aprono un portone dentro la mia anima.

Di baci vorrei riempir le sue labbra.

Di abbracci la vorrei coprire.

Arianna mi perdona.

(Andrea Pasquali)

Luce

Io,

nave persa in questo mar,

viaggio nel buio

dove solo tu,

oh faro,

m'illumini la strada

verso il porto.

Oh, mia unica luce!

(Serenella Anedda

Letizia Pau

Giorgia Tauro)

Il nostro amore

Cielo ombroso,

Nuvole arrabbiate,

Giorno penoso.

Tu mi sorridi!

Cielo luminoso,

Spuntano i fiorellini,

Spunta il nostro amore

(Flavia Montauti)

Le maschere

Per Pirandello portare una maschera significa non essere se stessi, cioè assumere una personalità diversa a seconda del contesto in cui ci troviamo.

Nella mia vita non ho mai indossato una maschera perché non mi piace far vedere ai miei amici, parenti, genitori e ai miei professori una falsa identità. Ognuno deve essere quello che è, e ti devono accettare per come sei.

In pratica molte persone preferiscono indossare una maschera per adattarsi agli altri, a eventi e luoghi. Queste maschere sono il frutto delle paure ereditate da chi ci ha preceduto in questa società, nella quale esiste la paura tangibile di risultare inadeguati se si è sinceri, di rimanere soli, emarginati. Ecco perché ci vuole coraggio per dire quello che si pensa, perché bisogna abbattere questa paura istintiva, la paura di restare soli, la paura di non essere capiti, la paura del giudizio degli altri, la paura di ritorsioni contro di noi.

Conosco persone che pur essendo esemplari nel loro modo di vivere leale e onesto, sono costrette a non poter esprimere quello che pensano per il semplice motivo che, se lo dovessero fare, entrerebbero in crisi. La paura vince sul coraggio di essere se stessi. Anche queste persone che spiccano per capacità umane, si sentono costrette a non potersi esprimere a proprio piacimento, scelgono allora di recitare un ruolo, quello del “dipendente burattino”, e il prezzo da pagare è sempre quella maledetta maschera da indossare.

(Costel Marinelli, V B

A.S. 2016/2017)

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