









Aline
di Rossana Anselmi
A.s. 2017/2018
prima puntata
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Sono qui. Rannicchiata a terra. In un angolo buio e dimenticato. Con addosso un camice bianco. Bianco. Quasi rido. Il bianco è il colore della purezza, della voglia di vivere. Qui dentro però, in questo edificio infernale, cambia significato. Qui il bianco è freddo, è il colore del silenzio, della solitudine.
Nascondo la testa tra le braccia. Sola, nella mia cella. Come sottofondo le urla degli altri pazienti. Sento anche dei passi. Si avvicinano. Ora il tintinnio delle chiavi. I passi s’interrompono. La serratura scatta. Qualcuno entra. Non alzo la testa. Rimango immobile. Sento di nuovo i passi. Il mio respiro si affanna. Come alla fine di una lunga corsa. Qualcuno è in piedi davanti a me. Non mi muovo. Ho paura.
<<E’ ora della cena>> è una donna che parla. Alzo di poco la testa. Quanto basta per lanciare un’occhiata alla finestra. Fuori è buio. Chissà che giorno è. In che anno siamo... quando mi hanno rinchiuso qui dentro avevano detto “solo per poco tempo”. Ormai ho perso la cognizione del tempo.
<<Devi venire a mangiare>> esordisce di nuovo. Non voglio mangiare. Non voglio muovermi. Non voglio fare niente. Sto bene qui. Non voglio neanche più uscire. Ho paura. Ho una dannata paura. Ho paura di vedere cosa c’è al di fuori del cancello di questo inferno. Ho paura di muovermi. Appena ti muovi ti studiano. Studiano e prendono appunti. Poi ti fanno un breve resoconto delle tue condizioni.
<<Ti devi alzare>> la sua voce inizia ad alterarsi. Si sente la sfumatura di nervosismo. Non apro bocca. Non mi muovo. Non ci riesco e non voglio.
<<Alzati>> Ora urla. Istintivamente mi rannicchio ancora di più. Metto le mani tra i capelli. Quasi a proteggermi, a voler nascondermi.
<<Adesso basta>> urla prendendomi un polso. Ora urlo anche io. Mi fa male. Tiro calci. Mi dimeno. Sento altri passi. Altre persone sono nella stanza. Non so quante. Ma non siamo da sole. Qualcuno mi trascina fuori dalla mia cella. Continuo ad urlare. A dimenarmi. Inizio ad avere mal di testa. Non respiro.
<<Ora tu stai qui e mangi>> è un uomo che parla. Voce dura come a rimproverarmi. Non ho fame. Non voglio mangiare e non mangerò.
<<Le tue condizioni sono peggiorate>> ecco. Non voglio mangiare e loro credono che abbia qualche problema mentale. Non voglio mangiare e basta. Non ho fame!
<<Devi mangiare>> ora il suo tono è più dolce. Credo che sia lo psichiatra. Ma secondo me tra noi due lo psicopatico è lui. Non rispondo. Tengo la testa bassa. Davanti a me ho un piatto pieno di brodo. Credo. So solo che è liquido e verdastro.
<<Non ti piace?>> credo di fargli pena, si è addolcito troppo.
<<Preferisci altro?>> sì come se poi mi servissero quello che voglio. Ridacchio solo a pensarci. Illuso!
<<Aline?>> alzo lo sguardo, incrociando il suo.
<<Non hai ancora mangiato>> si è alzato.
<<Non voglio>> dico sostenendo il suo sguardo mentre gira in torno al tavolo.
<<Ma devi>> mi giro dalla parte opposta e torno a fissare il vuoto. Ora è accanto a me. Si china sulle ginocchia e mi guarda. Mi osserva. Mi studia. Non mi piace quando mi studiano. Non mi piace quando mi osservano. Non mi piace quando mi dicono cosa devo fare.
<<Aline>> sospira <<Se non mangi ti sentirai male>> un piccolo sorriso amaro esce sulle mie labbra. Io sto male! Mi fa star male essere sempre rinchiusa in queste quattro mura. Mi fa star male essere costretta a fare quello che vogliono. Mi fa star male essere studiata. Mi fa star male avere paura costantemente.
Fa per toccarmi la spalla, mi scanso, schifata.
<<Morirò>> Dico. Tanto meglio morire che continuare a vivere così, ma non posso, non ho niente per morire. Per farmi male. Ma non fa niente. Sto qui, aspetto.
Si alza e si va a rimettere seduto al suo posto. E’ di fronte a me. Continuo a non muovermi.
<<Posso sapere da quanto sei qui?>> Non rispondo. Continuo a guardare il pavimento. Ma in realtà non lo guardo davvero. Fisso il vuoto. Non so neanche io da quanto sono qui dentro.
<<Perché sei qui?>> non saprei cosa rispondere. Non so per quale misterioso motivo sono qui dentro. Forse neanche c’è un motivo.
Mi sono stancata di parlare. Di ascoltare. Voglio tornare nella mia cella. Nel mio angolo. Mettere la testa tra le mie braccia.
<<Aline?>> Cosa? Perché continua a chiamarmi? A farmi domande? Tanto è inutile. Non gli risponderò comunque.
<<Aline? Se tu non parli io non posso aiutarti>> Non ho bisogno del suo aiuto. Io non voglio il suo aiuto. Anche perché lui non può aiutarmi. Continuo a tenere lo sguardo fisso nel vuoto. Non parlo.
<<Aline? Vuoi uscire da qui?>> Scatto. Neanche mi avesse bruciato. Lo guardo negli occhi. Forse con un po’ di speranza. Ma comunque ora ha tutta la mia attenzione. Sì, voglio uscire. Anche se ho paura. Ma mi accontento anche solo del giardinetto che c’è al di là della mia finestra. Lui mi guarda e fa una leggera risata. Continua a studiarmi. A osservare ogni mio minimo movimento.
<<Aline, non ho capito, vuoi uscire di qui?>> Mi domanda di nuovo. Vuole sentire la mia voce. Forse è solo un inganno. Forse è solo lo studio delle mie azioni. E se ora mi dice che sono peggiorata ancora di più? Non so che fare. Voglio dirgli di sì, che voglio uscire. Ma ho paura. Ho paura di dirgli che voglio uscire.
Annuisco insicura con la testa.
<<E dove vorresti andare Aline?>> Non lo so. Dove posso andare? Ho paura che sia solo un brutto scherzo. Indico la finestra della mensa. Anche al di la di quella c’è un giardino.
<<Vuoi andare in giardino? Non vuoi andare più lontano?>> No. Ho paura di andare più lontano. Mi basta il giardinetto. Anche solo per pochi minuti. Scrollo le spalle. Non parlo. Ma il mio sguardo è su di lui. Sono attenta a quello che mi dirà.
<<Facciamo cosi Aline. Io ti faccio uscire, se poi tu rispondi alle mie domande>> Sul mio viso si dipinge un sorriso. Sì, risponderò alle sue domande se mi fa uscire. A qualsiasi domanda.
<<Sei d’accordo?>> Annuisco con la testa e il sorriso stampato in faccia.
<<No Aline. Voglio sentire la tua voce. Sei d’accordo?>> Abbasso leggermente lo sguardo. E dico un sì quasi sussurrato. Quando lo rialzo, lo vedo con un sorriso stampato in faccia.
<<Bene, domani mattina ti verrò a prendere, adesso non possiamo è troppo buio.>> Annuisco. Speravo ora, ma dovrò aspettare. Ma del resto è l'unica cosa che faccio da quando sono qui. Si alza. Prende il suo blocco e la sua penna. Poi mi guarda. Sposta lo sguardo sul piatto. Ho detto che non voglio mangiare e non mangerò. Allontano il piatto con la mano. Continua ad osservarmi.
<<Almeno bevi un po’ d’acqua. Aline, ti sentirai male per davvero se continui così!>>
Prendo il bicchiere e verso il contenuto insieme al liquido verdastro.
<<Mi fa male stare qui dentro>> Dico. Fa un sospiro. Mi da un'altra occhiata. Poi chiama l’infermiera e dice che ho finito. Mi riportano in cella. Mi guardo intorno. Sempre le solite pareti bianche. Sporche. Ci passo le dita, mi ci appoggio con la schiena e mi lascio cadere a terra. Non ne posso più di questo posto. Ma ho paura. Ho paura di andarmene. Mi rannicchio. Metto la testa tra le braccia. È impossibile dormire. Non dormo da un po’. Aspetto che il sole sorga. Che illumini questo posto buio e sporco. Aspetto non posso fare altro.
Il sole entra dalla finestra. Credo sia mattina inoltrata. Illumina la stanza da tempo. La serratura scatta improvvisamente, facendomi sobbalzare. Ero così immersa nei miei pensieri che non mi sono resa conto se stava arrivando qualcuno. Entra lo psichiatra. Allora non mi prendeva in giro ieri. Sono felice. Uscirò di qui senza andare troppo lontano. Lui si avvicina. Ora mi è di fronte. Mi tende una mano sorridendomi.
<<Aline, pronta per uscire?>> Sono immobile. Ho mal di testa. Continua a tendermi la mano. La guardo, ma non mi muovo.
<<Aline? Non vuoi uscire più?>> Si voglio uscire. Mi alzo. Ignorando la sua mano.
Continua a sorridermi. Sono in piedi di fronte a lui, con le spalle al muro. Abbasso la testa, non so quello che devo fare. Continua a guardarmi. A studiarmi. Non mi piace.
<<Bene. Allora andiamo. Ma prima di uscire devi mangiare qualcosa. Cosa ti va?>> Non mi va di mangiare. Non voglio mangiare. Intreccio le dita con disagio.
<<Aline almeno devi bere qualcosa. Ti va una spremuta di arance?>>
Annuisco. Usciamo dalla cella. Lui è avanti. Io lo seguo. Arriviamo in mensa. Sul tavolo c’è un bicchiere con del succo. Il succo arancione a contrasto con il bicchiere bianco. L’ arancione così intenso. Il bianco così pallido.
<<Aline dai bevi e usciamo>> annuisco e prendo il bicchiere. Sorseggio un po’. Lascio che il succo mi scivoli in bocca. Ha un buon sapore. È fresco. Mi piace. Finisco il succo e guardo il fondo del bicchiere. Mi lecco le labbra.
<<Ti è piaciuta? Ne vuoi ancora?>> poso il bicchiere e scuoto la testa. Voglio uscire.
<<Allora andiamo>> sorride. Mi sorride sincero. Non mi prende in giro. Sorrido anche io. Lo seguo. Per un momento penso che mi stia riportando in cella, poi però sorpassa la mia porta e continua dritto fino infondo al corridoio. Lo seguo incuriosita. Si ferma davanti ad una porta. Il mio cuore batte più forte. Al di là della porta c’è il giardino. Lo vedo. Vedo anche che lo psichiatra tira fuori le chiavi da una tasca. Il mio cuore continua a battere e le mie labbra sono curvate in un sorriso. Sta aprendo la porta. Mette una mano sulla maniglia e mi guarda.
<<Sei pronta Aline?>>
Annuisco velocemente. Lui fa una risata e apre la porta, poi si mette da una parte per farmi passare. Faccio un passo avanti. Sento il sole che mi riscalda accarezzandomi la pelle. Sento l’aria fresca a contrasto con il sole. Lo psichiatra mi mette una mano sulla schiena facendo una leggera pressione.
<<Non avere paura Aline, non fermarti solo a qui>>
Faccio un passo avanti e i mie piedi toccano il prato. Mi inchino e passo le mani tra i fili d’erba. Sorrido e mi rialzo.
<<Ti piace Aline?>> Sorrido e mi volto verso di lui. Annuisco.
<<Ti ricordi il nostro patto Aline? Mi devi rispondere, voglio sentire la tua voce!>>
<<Sì>> dico sussurrando. Inizio a indietreggiare <<Mi piace>> continuo a indietreggiare. Sorrido. Mi piace il calore del sole sulla mia pelle. Mi giro per avere il calore sul mio viso. Ma sbatto contro qualcosa e cado.
<<Ahi!>> mi massaggio la testa .Mi volto e vedo una ragazza. Anche lei si massaggia la testa. Poi alza lo sguardo verso di me e spalanca gli occhi.
<<Oddio! Scusami, non ti avevo visto. Davvero scusami, non volevo. Ti sei fatta male ? Io si, ma non importa. Hai una mano in fronte. Questo significa che ti fa male? Oddio, davvero ti ho fatto male?>> sono immobile. Ha il fiatone per quanto parla velocemente.
<<Aline?>> Questo è lo psichiatra. Mi volto dall’ altra parte e lo vedo venire verso di noi. Si inchina accanto a me <<Ti sei fatta male?>> scuoto la testa e mi rialzo. Ora la ragazza ha le mani sulla bocca e mi guarda … impaurita? Lo psichiatra si gira e la guarda. Poi le sorride.
<<Ciao Sara, come va? Ti presento Aline, la mia paziente. Aline lei è Sara>> Si gira verso di me <<Fa volontariato qui>> Sara mi porge una mano e io gliela stringo
<<Aline! È un piacere. Che bel nome. È francese? Che bella la Francia, ma io non ci sono mai andata. Tu sei francese? I tuoi lo erano? Sei mai stata in Francia? E perché ora sei in Italia? È più bella la Francia scommetto.. >> Continua a tenermi la mano e la scuote e con quella libera gesticola. Credo che ora stia parlando più a se stessa che a noi. È incredibile che possa parlare cosi velocemente.
<<Sara … >> Prova a interromperla lo psichiatra << Sara..?>> Ma se continua cosi non ci riuscirà mai.
<<Sara>> Ora ha alzato la voce. Sara si zittisce e si gira a guardarlo. Lo psichiatra sta per dire qualcosa ma Sara ricomincia <<E lei dottore? È mai stato in Francia? Ooo la città dell’ amore .. Parigi! Siete stati a Parigi? Io no. Ma stavo per andarci, con il mio amore, ma poi è successo una catastrofe e non siamo più partiti. Ma mi piacerebbe andarci.. perché non ci andiamo tutti e tre insieme? Dai, sarebbe fantastico!! Anche se ti conosco da poco Aline già mi stai simpatica. Non mi interrompi quando parlo!>> quasi urla dalla felicità. Mi viene da ridere. Non smette di parlare e tiene ancora la mia mano. Inizio a sorridere e lo psichiatra se ne accorge. Mi sorride e poi scrolla le spalle. Torniamo a guardare Sara che continua a parlare e gesticolare. Provo a togliere la mano dalla sua presa. Lei se ne accorge e si gira.
<< Oddio scusa. Ancora ti stavo reggendo la mano>> dice lasciandomela <<Ogni tanto mi succede sai? Inizio a parlare e non mi rendo conto di ciò che faccio. Davvero scusa! E anche per prima. Sicura che non ti sei fatta male? Davvero non ti avevo visto. Tutto a posto?>> mi guarda, fa quasi paura.
Scuoto la testa, ma lei continua a fissarmi. Faccio un passo indietro. A disagio.
<<È inutile che gli fai domande a raffica, non risponde neanche se glie ne fai una con calma>>
<<Aaaaa>> continua a fissarmi <<Non ho ben capito ma va bene… >>
Mi giro verso lo psichiatra che si trattiene dal ridere
<<Che fate qui fuori?>>mi chiede. Io guardo lo psichiatra.
<<Sara è inutile che chiedi a lei, non ti risponderà>> Continua a guardarmi <<Comunque siamo qui fuori perché lei voleva uscire, stavamo facendo una passeggiata>> Continua sempre lo psichiatra.
<<Uuuu che bello, allora passeggio con voi>> Urla prendendomi a braccetto e iniziando a camminare.
<<Perché sei qui? Da quando sei qui? Ogni tanto penso che anch’io dovrei essere ricoverata, molta gente mi prende per pazza, ma ancora non ho capito perché, secondo te perché la gente mi prende per pazza?>> Si ferma e mi guarda, mi viene da ridere ma provo a trattenermi. Scrollo semplicemente le spalle. Lei sorride e mi mette le meni sulle guance <<Ma io ti amo! Sei sempre cosi silenziosa? Non mi interrompi mai? Non sai quanta gente mi tappa la bocca perché dice che sono fastidiosa. Ma tu no! Che bello>> Ricominciamo a camminare <<visto che sei cosi silenziosa ho deciso di dirti il perché sono qui … credo che tu sappia mantenere questo segreto più di chiunque altro. Nessuno me lo ha mai chiesto. Forse perché non gli interessa. Ma non è da tutti venire di propria spontanea volontà a fare volontariato in un manicomio sai?>>
Continua a parlare ma mi rendo conto che lo psichiatra non è più accanto a me. Mi giro per vedere dov’è e lo vedo appoggiato ad un albero che ci guarda. Ci studia. Non mi piace essere studiata.
Mi rigiro e provo a capire cosa sta dicendo Sara. Parla cosi veloce che faccio fatica ad ascoltarla. <<E poi c’era lui… che bello che è...>> Si ferma e guarda il vuoto. Sembro io quando non voglio mangiare. <<Ci amavamo. Io lo amavo>> Ora parla più lentamente e sembra arrabbiata, c’è anche un po’ di tristezza nella sua voce <<Poi un giorno se né andato>>
Mi ritorna in mente qualcosa. Un uomo, che bacia una donna. Poi si avvicina alla porta, le dice di amarla e esce.
<<Se né andato con un’altra. Se né andato in una sera stellata, doveva essere la nostra sera, avevo cucinato anche. Io che non so cucinare!>> Fa un sorriso amaro e si siede sul prato.
La scena riappare nella mia mente, solo che adesso immagino anche il rumore della pioggia.
Mi porto le mani tra i capelli e strizzo gli occhi. Mi siedo accanto a lei. Ho un po’ di mal di testa.
<<Ero cosi felice. Avevo programmato tutto. Poi lui rientra a casa, mi da questa fantastica notizia e se ne va>>
Ora mi ricordo di tutto! Io che avevo preparato la cena, lui che rientra tutto bagnato perché fuori diluviava. Si cambia e mi dice che aveva una cena di lavoro. Mi bacia, esce dicendomi che mi ama. Io che rimango sola e poi la telefonata … “c’è stato un incidente, stiamo contattando tutti i parenti delle vittime …”
Metto le mani tra i capelli. Il mio respiro si affanna.
<<Tutto bene?>> mi chiede Sara. Sento i passi dello psichiatra. Non mi muovo.
<<Aline? Che cosa è successo?>> scatto a guardare Sara, ignorando lo psichiatra. Lei fa un passo indietro.
Sono io la donna, quella donna che ho immaginato!
<<Cosa le hai fatto?>> le chiede lo psichiatra.
<<Io niente, le stavo raccontando la mia storia>> Continuo a guardarla e sento lo sguardo dello psichiatra che mi studia.
<<Aline? Tutto bene?>> annuisco guardando Sara. Il mio respiro è tornato regolare. Mi alzo. Riprendo a camminare e Sara mi raggiunge subito.
<<Aline? Ho detto qualcosa di sbagliato?>> Scrollo le spalle. Poi mi giro per vedere dov’è lo psichiatra. È poco più in la. Ora guarda solo me. Studia solo me. Mi rivolgo di nuovo a Sara.
<<Anche io avevo un lui>> Ho un tono triste, ma fermo. Malinconico. Lei ha un’espressione sorpresa in faccia… come se non se l’aspettasse? Apre e chiude la bocca più volte, come se volesse dirmi qualcosa. Alla fine dice solo un semplice <<Wow>> sussurrato. Abbasso la testa e continuo a camminare. Lei mi ferma e mi tira indietro per un braccio.
<<Hai una voce? Mi hai parlato? O mio dio, o mio dio, o mio dio! Dottor…>> le metto una mano sella bocca e con l’altra le faccio segno di stare zitta. Io gli dico che anche io ero innamorata e lei chiama il dottore per dirle che ho parlato? Non voglio che lo psichiatra prenda anche appunti. Non ora almeno. Lei annuisce e io tolgo le mani dalla sua bocca.
<<Come si chiama?>> La guardo un attimo, poi riprendo a camminare e mi affianca.
<<Si chiamava. Un giorno, andando a fare una cena di lavoro è rimasto coinvolto in un incidente.>>
<<Oh!>> È l’unica cosa che riesce a dire. Continuo a camminare. Ci sono tanti alberi qui. Di notte sarebbe facilissimo perdersi. Ora capisco perché lo psichiatra mi ha fatto aspettare mattina.
<<Non volevo che andasse. Preferivo che restasse a casa con me>> La guardo. Mi guarda.
<<Mi dispiace>> scuoto la testa e faccio un sorriso amaro <<Non dispiacerti. Non può farci niente nessuno>>
Sento dei passi dietro di me. Poi lo psichiatra mi affianca.
<<Aline tutto bene?>> annuisco. Continuo a camminare.
<<Il mio fidanzato si chiamava Francesco. Poi se ne è andato con una… Me l’ha detto con un sorriso da orecchio a orecchio. “ho conosciuto una ragazza, me ne sono innamorato, tra noi è finita, scusami. Ti ho amato.” >> mentre parla guarda in basso. Continuiamo a camminare. Lo psichiatra è al mio fianco destro. Non voglio parlare davanti a lui perché non voglio che prenda appunti. Non mi piace quando mi studiano e prendono appunti. Però voglio vedere la sua reazione…
<<Il mio si chiamava Andrea>> Lo psichiatra scatta a guardarmi. Mi viene da ridere. Ha la bocca aperta e un sopracciglio alzato. È buffissimo! Mi scappa una risata.
<<Poi, come ti ho detto, ha avuto un incidente.>> lo psichiatra apre bocca per dire qualcosa, ma Sara lo precede.
<<Quando è successo?>>
<<Un anno fa>> Ora anche Sara ha la bocca aperta <<e tu, insomma, tu da…>>
<<Da quanto sei qui?>> Lo psichiatra è riuscito a formulare una frase. Sembra stia studiando ciò che dico, come se ci fosse una risposta giusta che potrei sbagliare.
<<Da sette mesi credo…>>
<<Sei venuta da sola?>> Chiede Sara. La guardo incredula, non capendo chi potesse mai venire in questo inferno di propria spontanea volontà. <<No perché alcuni lo fanno, vengono perché non si sentono sicuri della loro salute. Loro si che sono matti. Ma tu… Non volevo dire che tu, tu non, insomma. Non so se hai capito, io , mi dispiace…>>
<<Mi ci hanno portato>> La interrompo. Ho capito cosa voleva dire. Gli rivolgo un sorriso sincero e lei mi sorride più sicura.
<<Chi e perché ti hanno portato qui?>> Chiede lo psichiatra. Abbasso la testa.
<<La mia famiglia>> Faccio una pausa e mi siedo su una panchina <<Dopo la morte di Andrea mi sono chiusa in me stessa. Non parlavo. Non mangiavo. Non uscivo. Allora hanno deciso di portarmi qui. Ma mi sono sentita peggio. Qui ti studiano. Ti criticano. Credono di sapere le tue condizioni. Devi fare ciò che vogliono loro. Non mi piace essere studiata. Non mi piace essere osservata.>> Metto le mani tra i capelli.
<<Si lo so, a me da fastidio solo guardarli quando fanno così>> dice Sara. Si è seduta accanto a me e mi ha abbracciato. Non so perché ma quell’abbraccio mi ha fatto sentire meglio. Tolgo le mani dai capelli e abbraccio a mia volta Sara. Ora sono più tranquilla. Ritorno al mio posto. Sento lo sguardo dello psichiatra addosso. Mi sta studiando. Cos è che non ha capito di “non mi piace essere studiata”?
<<È contento ora che ha trovato delle risposte alle sue domande?>> alzo la testa e guardo il dottore.
Mi sorride. Poi guarda l’orologio.
<<È ora del pranzo, dobbiamo rientrare>>
<<Non voglio rientrare>>
<<Aline>> sbuffa. Incrocio le bracci al petto. Uffa però! Sara scoppia a ridere.
<<Così sembri una bambina>> dice ridendo. Sorrido anch’io. Mi alzo. E inizio a camminare. Mi giro e vedo lo psichiatra che mi guarda.
<<Dottore è ora del pranzo, deve rientrare>> dico imitandolo.
<<Io non parlo così>> dice avvicinandosi. Anche Sara si alza e corre verso di me. Mi abbraccia e quasi cado a terra.
<<Tanto noi ci rivediamo. Vero dottore? Anche perché se non ti fa uscire entro io>> sorrido alle sue parole.
<<Si, si Sara come vuoi. Ora Aline dobbiamo andare è tardi>>
<<Ciao Sara>> dico
<<Ciao Aline >> Sara se ne va e lo psichiatra mi guarda. Gli sorrido.
<<Hai fatto amicizia con Sara>>
<<Si. È simpatica>>
<<Ora Aline devi mangiare>> Annuisco e rientriamo.
Con grande sorpresa del dottore da quel giorno mangio e bevo a tutti i pasti. Parlo con lui e con Sara, quando mi portano in giardino. E con mia grande sorpresa riesco anche a dormire.
Passano i giorni, settimane e un altro mese passa. Ma sta volta con più allegria, leggerezza. Ormai Sara è quasi una sorella. Quando esco lei parla, io l’ascolto e poi ridiamo insieme. Oggi sono esattamente otto mesi che sono qui dentro. Sento la serratura scattare e guardo chi sta aprendo. È lo psichiatra.
<<Salve Aline>> dice con un sorriso.
<<Salve dottore>> gli rispondo. Io sono sempre accucciata nell’angolo, ma non nascondo più la testa tra le braccia. Ora osservo quello che mi circonda.
<<Ho una notizia da darti sulle tue condizioni. Se vieni in mensa ne parliamo>> il mio sorriso svanisce. È da un po’ che non mi aggiorna sulle mie condizioni. E l’ultima volta che mi ha aggiornato mi ha detto che ero peggiorata.
<<Ei, tranquilla sono buone. Voglio solo parlartene fuori di qui, e magari appoggiato ad un tavolo>> annuisco e mi alzo. Esco e andiamo in mensa.
Ci sediamo. Lui guarda il suo blocco, dove prende appunti dopo avermi studiato. Inizio ad essere in ansia. Non so cosa mi deve dire. Ha detto che sono buone notizie, ma non so cosa aspettarmi.
<<Allora Aline>> Dice senza distogliere lo sguardo dagli appunti <<Ho una notizia fantastica per te! Secondo le mie conclusioni.. tu sei migliorata parecchio>>
Lascio un sospiro. Credevo chissà cosa.
<<E sono arrivato alla decisione che non hai più problemi>>
Lo guardo confusa. Lui lo capisce e inizia a spiegarmi.
<<Aline, non hai più avuto problemi. Hai assunto un comportamento normale. Ora mangi, bevi, parli, dormi, ridi … sono giunto alla conclusione che domani potrai uscire. Oggi ti porteranno tutte le tue cose e domani, in mattinata ti faro l’ultima visita, poi te ne potrai andare>>
Sono scioccata. Ho la bocca aperta. Non riesco a parlare, non so che dire. Non me l’aspettavo. Inizio a sorridere.
<<Mi sta prendendo in giro?>> Il dottore scuote la testa. <<Sta dicendo veramente?>> Sono emozionata. O mi dio. Mi appoggio allo schienale.
<<Ora possiamo uscire. Se vuoi puoi dirlo a Sara>> Annuisco freneticamente. Lui ride <<Bene allora andiamo>>
Appena usciamo fuori vedo Sara con un cesto di panni sotto braccio.
<< Sara. Sara. >> urlo perché mi senta. Lei si gira. Posa il cesto e mi viene incontro sorridendo.
<<Aline, ti vedo di buonumore oggi. Che è successo?>> la prendo per le spalle.
<<Domani esco. Me ne vado. Mi farà uscire. Ha detto che non ho più bisogno di stare qui dentro>> Dico tutto d’un fiato. Non posso crederci. Inizia a urlare e saltare anche lei.
<<E, una volta uscita di qui, dove andrai?>> Mi paralizzo. Uscirò di qui.. e poi? Non lo so. Non mi ricordo dov’è casa mia. Non voglio tornare dalla mia famiglia. Smetto di saltare. Di urlare dalla felicita. Non lo so. Non ho un posto.
<<Aline? Non sai dove andare vero?>> Mi chiede Sara. Scuoto la testa. <<Perché non vieni a casa mia?>>
Rialzo lo sguardo e guardo Sara negli occhi.
<<Posso? Davvero? Mi faresti stare davvero a casa tua?>>
<<Certo. Sei l’unica persona che mi ha accettato per quello che sono senza giudicarmi. Sei la ben venuta>>
Le labbra mi si incurvano in un sorriso. E mi butto su di lei abbracciandola.
<<Grazie. Mi piacerebbe un sacco. Si vengo a casa tua>> Iniziamo di nuovo a urlare.
<<Bene Aline. Ora dovremmo rientrare. Vi vedrete domani mattina>> Dice lo psichiatra.
<<Ok dottore>> Continuo a sorridere <<Ciao Sara. A domattina>>
<<Ciao Aline. Non vedo l’ora di farti vedere casa>>
Le ore passano velocemente. Mi hanno riportato le mie cose. Lo psichiatra mi ha congedato dopo l’ultima seduta. Sara ha detto che mi verrà a prendere e che mi porterà a casa sua. Mi guardo intorno. Sono seduta nell’angolo. Ma non nel mio angolo. Quello di fronte. E fisso il mio posto. Mi rivengono in mente una marea di ricordi e di emozioni. La paura. L’ansia. L’insonnia. La tristezza. E poi ho incontrato lo psichiatra, mi ha fatto uscire. Ho conosciuto Sara. E quell’ angolo si è trasformato in un angolo più luminoso. Stavo a pensare alla parlata veloce di Sara. Le risate. Finalmente dormivo. I sorrisi. E ora? Ora non ci sarà neanche l’angolo. Mi sto svegliando piano piano da questo incubo. Sto aprendo gli occhi e faccio entrare un po' di luce per volta. Prima se ne va l’oscurità. Dopo se ne va la tristezza e la paura. Poi anche questo edificio. Sto ricominciando a vivere. Perché in fondo prima sopravvivevo e basta. Ora vivo a metà. Poi uscirò di qui e con Sara ricomincerò a vivere. Questa notte non ho dormito. Sono rimasta tutto il tempo a ricordare com’era e immaginare come sarà. Mi guardo intorno. Questa cella non me la scorderò mai. Sono pronta per uscire. Ho un po' di paura ma so che Sara mi starà accanto.
Sento dei passi. Mi alzo. Il tintinnio delle chiavi. Raccolgo la borsa con le mie cose. La serratura scatta. Mi avvicino alla porta.
<<Salve Aline>> sorrido al saluto del dottore.
<<Salve dottore>> mi sorride anche lui.
<<Pronta? Sara è già qui fuori>>
<<Pronta>> faccio un giro su me stessa guardandomi intorno.
<<Potrai tornare quando vuoi>>
<<Non credo tornerò mai più>> lo psichiatra ride. Gli sorrido e esco. Richiude la porta e ci dirigiamo all’uscita.
<<Aline?>>
<<Si?>> mi giro verso lo psichiatra che mi guarda. Ci fermiamo.
<<Tornerai a trovarmi?>> sorrido.
<<Ci vedremo in giardino>> sorride anche lui e riprendiamo a camminare. Arriviamo alla porta e vedo Sara dall’altra parte.
Usciamo e Sara mi abbraccia. Ricambio il suo abbraccio facendo cadere la mia borsa a terra.
<<Andiamo a casa Aline>> dice staccandosi.
<<Andiamo a casa Sara>> sorrido anche io. Mi volto verso il dottore. Mi avvicino.
<<Arrivederci Aline>> dice tendendomi la mano. Lo guardo. Poi mi butto su di lui e lo abbraccio. Sorpreso, ricambia il mio abbraccio dopo pochi secondi.
<<Ci si vede dottore>> mi stacco da lui sorridendo. Sorride anche lui.
<<Arrivederci dottore>> dice Sara. La raggiungo e ci incamminiamo verso l’uscita. Ci guardiamo e sorridiamo.
Si ne sono sicura. Questa è la mia nuova vita!